lunedì 12 settembre 2011

De buk is [still] on de teibol - Day DIX

La scorsa settimana Claudia ha deciso di rispondere alla mail che le avevo inviato qualche giorno prima. Era più di un anno che aveva scelto di interrompere ogni contatto e poco meno che avevo rinunciato a mandarle messaggi per cercare di mantenere viva una qualche forma di rapporto. Ritrovarla nella casella della posta mi ha fatto molto piacere soprattutto per la delicatezza con cui ha raccontato della sua vita. Sta trovando un suo equilibrio e sono felice perché se lo merita davvero.
Ovviamente ha chiesto della mia, del mio lavoro ed anche lei non ha resistito ad avere aggiornamenti sull'evoluzione del mio inglese.

È normale. Chi mi incontra, soprattutto chi conosce i miei travagli con questa lingua, vuole conoscerne i miei progressi, soprattutto dopo tanto tempo. In particolar modo la mia famiglia.
Così quando giovedì tornerò in Italia, come sempre troverò mia madre ad aspettarmi carica di fantasiose apprensioni sulla vita smodata della metropoli, ansiosa di lanciare allarmi disperati sul mio stato fisico che a suo dire sarà al limite della denutrizione e, soprattutto, vogliosa di sapere che finalmente il suo figlio qualcosa di buono la sta combinando lassù, almeno quella: imparare l'inglese.

Invece no. l'inglese non lo sto imparando. Mi sento sempre allo stesso punto; con gli stessi blocchi e la stessa difficoltà a capire televisione, commessi e vecchiette alle fermate del bus.
La colpa è mia. Della mia pigrizia, dei miei vizi, della mia timidezza e della stanchezza nei confronti di un certo rigore con cui dovrei affrontare le giornate.

Quando arrivai qua a Gennaio dell'anno scorso ero carico e motivato. Studiavo con mio coinquilino e ripetevamo la grammatica ogni giorno. Eravamo arrivati anche a parlare inglese tra di noi non avendo alternative anglofone nel flat. Per una serie di eventi tragicomici, terminata con la telefonata del manager mentre ero al gate per l'imbarco, non ero riuscito a prendere un lavoro da Pizza Hut e così ero stato costretto a rientrare in attesa di tempi migliori.

Poi qualcosa si è rotto durante quel breve intermezzo italiano e quando sono atterrato di nuovo oltremanica la voglia di integrarmi era stata sostituita da quella di ritrovare un equilibrio, qualunque esso fosse, relegando in secondo piano tutte le altre priorità.
Così mi sono preso il primo lavoro buono e per 6 mesi ho passato 60 ore a settimana in un ristorante italiano, dove trascorrevo le giornate a vegetare in attesa dei 20 clienti settimanali ed a scherzare con il mio chef di Brescia.

Anche le amicizie le ho trovate tra quelli che potevo capire facilmente e con cui lavorare per la ricerca della stabilità che avevo perso a casa.
Di conseguenza anche le ragazze. Non avevo voglia di mettermi in gioco, di rischiare figuracce, di sembrare stupido.
Cercavo conferme e sicurezza e per questo mi sono buttato su tutto che che di italiano incontravo.

Verso la fine dell'anno scorso, stanco di perdere tempo nel basement di Biagio@Bankside, mi sono licenziato pronto a buttarmi in un altro lavoro che mi desse più soldi, più regolarità e qualche chance in più di parlare in inglese. La prima prova da Spaghetti House era andata bene, ma il tempo passato in un ristorante non certo da Guida Michelin, ma almeno di media categoria, aveva generato in me una repulsione verso certe cattive abitudini delle cucine turistiche: spazi angusti e menù economici.
Non ce la facevo a servire cibo in quel modo e così abbandonai la strada del cuoco per guadagnare altrove il Minimun Wage necessario a sopravvivere. Ben presto però mi resi conto che le mie speranze di sconfiggere con l'esperienza
maturata, i pregiudizi nei confronti di piercing e barba, che stranamente in questo paese, almeno nell'hospitality sono piuttosto forti, erano vane. Se vuoi maneggiare food and beverage, che tu sia cameriere, barista o pizzaiolo, scordati i peli in faccia ed il metallo sul viso.
Per altri tipi di posti [pub, negozi] non mi sentivo linguisticamente pronto e qualche curriculum inviato per posizioni più vicine alla mia formazione [grafico e dintorni] non avevano ricevuto risposta [qua dopo un anno che sei fuori da un settore iniziano a considerarti scaduto].

Quindi mi buttai alla ricerca di qualsiasi lavoro ed incappai nel Marketing Research Interviewer. Interviste in italiano dalle 08:00 alle 16:00 ad utenze private o professionali per sondare la soddisfazione relativa a servizi e/o prodotti o raccogliere opinioni sui medesimi. Paga di 8 pounds all'ora, contro una media nazionale di 5,93. Ferie quando vuoi. Lavori anche in mutande e nessuno stress della lingua.
Anche volendo non avrei potuto rifiutare visto che il conto in banca stava sperimentando tutti i limiti dello zero assoluto.

E così furono altri 6 mesi di call center, durante i quali raccolsi un po' di soldi senza alcuno sforzo e rafforzai la rete di relazioni sociali che ancora mi sostiene.


Lentamente però presi coscienza dei limiti di questa vita e di quelli della mia autostima che mi impediva di azzardare conversazioni con chi non fosse italiano da almeno 3 generazioni.
Per questo cominciai noleggiare film in inglese ed a frequentare un corso di lingua organizzato del council.
Ma è durato poco e la pigrizia endemica sommata alla voglia di non passare il tempo libero ad impazzire coi sottotitoli hanno prevalsero sul bisogno di migliorare la lingua. Visto che comunque la mia socialità rimaneva più che dignitosa. E tornai nel mio mondo.

Comincio a pensare che forse sono troppo vecchio per ricominciare da capo. Non ho voglia di studiare, di sembrare scemo mentre cerco una parola che non ricordo, di chiedere ogni volta “sorry?”.
Ero contento di come sono nella mia lingua. Ci ho messo tanto per imparare ad usarla ed ora non ce la faccio a mettere via tutto e ripartire da zero.
Sicuramente sono troppo distratto per riuscirci in maniera mnemonica. 3 anni di scuole medie, 6 di liceo [ho ripetuto il terzo!], due esami universitari passati con 26 ed un mese di corso intensivo a Dublino inducono a pensare che non sia quella la strada. Dovrei essere costretto a starci in mezzo a non avere alternative perché se mi lasci uno spiraglio io mi ci infilo e scappo via.

A peggiorare la situazione a marzo è arrivato il taglio delle ore al lavoro che mi ha costretto a trovare un part time. Risposi ad un annuncio per Kitchen Helper in un pub, sperando così di iniziare a lavorare con qualche inglese, invece quando dopo un'ora mi chiamarono per l'intervista dall'altra parte, manco a dirlo, c'era un ligure da vent'anni a londra. Per cui mi ritrovai, come già scritto, al centro della city, nella cucina italiana, di un pub italiano.
Che è un po' la metafora del mio essere enclave ostinatamente muta in territorio nemico.

Quindi continuo a vivere nella mia bolla di rumore diffuso, frustrato dal sentirmi per tutto il resto completamente a mio agio. Mi piace la città che offre mille alternative, che chiede scusa e lascia la precedenza, che sorride dietro ad ogni sportello e si veste in modo bizzarro. Mi piacciono i fagioli con i funghi a colazione, le vecchiette nei pub ed i charity shop. Ora che ho anche cambiato accomodation ho una stanza enorme in una casa normale che un amico ha voluto condividere con me.
E non me ne frega niente se gli inglesi sono formali ed asociali e le previsioni del tempo le aggiornano ogni ora.


Vorrei solo poterli capire.

Vorrei godere di questo posto fino a saziarmene come ho fatto a suo tempo con Roma, prima di farne indigestione.
Non dico che vivrò qui per sempre ma avrei voglia di prenderne finché posso: I musical che durano da 15 anni, i film che escono senza dover aspettare il doppiaggio, i concerti di tutti i musicisti in vita, i festival e quello che neanche ci si immagina.

Ma per questo dovrei rassegnarmi ad un passo indietro. Abbandonare la settimana lunerdì-venerdì 11:00-19:00 che ora mi permette di avere un ritmo normale e godere dei weekend, probabilmente ritornare in qualche ristorante e decidermi a tirar via i piercing almeno durante il lavoro.
La barba no, quella non sono disposto a barattarla.


L'unica consolazione è che mia madre non legge mai questo blog e non sa niente di inglese, così almeno con lei posso fingere di essere davvero fluently.


a.