lunedì 17 ottobre 2011

... in my name too! - Day DXLIV

In un attimo decidiamo di scendere dall'8 che ci sta riportando a casa.
Troppo breve il fine settimana per chiuderlo a mezzanotte e St Paul's Catthedral è un'ottima scusa per allungare ancora un po' il tempo. C'è voglia di regalare gli ultimi scatti ad un amico in partenza e lasciare alla sera la tentazione di sorprenderci.
E l'incredibile ci si presenta davanti mentre ancora cerco di capire il perché delle transenne a Paternoster Square. Prima una tenda, poi due, tre. Pensiamo a dei senzatetto in cerca di riparo dal primo freddo che comincia a tagliare la città. Poi a qualche cerimonia di cui non so nulla, magari un matrimonio importante ed ai fanatici in cerca di una prima fila. Ma gli igloo aumentano e poi scritte, manifesti e corpi. fuori 8 gradi. intorno poliziotti tranquilli che spiegano ai passanti cosa sta succedendo.
Chiediamo ad un agente i motivi di quella folla. Ci parla di crisi economica e di proteste. Noi suggeriamo gli Indignados. Fa sì con la testa confortato dal collega. In realtà non sembra saperne molto ma non è preoccupato. Resteranno un paio di giorni poi se ne andranno tranquilli. Di questo appare più sicuro.
Li salutiamo e loro ci augurano la buonanotte.
Iniziamo a camminare costeggiando quel campeggio, stupiti ed eccitati. Una gessetto a terra prega di non oltrepassare quel limite per accamparsi. Lo hanno tracciato dai ragazzi per lasciare lo spazio per chi arriverà domani dalla Tube.
In terra le frasi della rabbia contro le banche, le companies e le lobby. Bandiere colorate tra le colonne e fiori di carta al collo delle statue.
Proviamo a scattare qualche foto. Un tizio ci viene incontro ridendo vistosamente e ci dice qualcosa che non capiamo. Tiriamo dritti cercando di non sembrare turisti spaesati. Al centro della piazza ci sono indicazioni in sei lingue su come comportarsi, buste per la raccolta differenziata e un tavolo per le informazioni. Da sotto il telone di quello che sembra essere il cuore l'organizzazione arriva musica etnica.
Giriamo intorno alla statua della Regina Anna, l'ultima degli Stuart. Un paio di Bobby ridono di gusto leggendo le frasi più ironiche dei cartelli che tappezzano la ringhiera. Quello più grande dice che siamo il 99%. Molti hanno voluto controfirmare quella dichiarazione con i pennarelli che sono appesi in giro. Lasciamo anche i nostri nomi, il sito di Emergency UK e la speranza che "it will happen". Immortaliamo con la digitale, o almeno è quello che pensiamo, una volta a casa non troveremo quegli scatti perché le batterie salutano proprio in quel momento simulando un click che in realtà perderemo. ne abbiamo di altre.
Saliamo sul sagrato per uno sguardo d'insieme. Sulla destra un perimetro di candele incornicia la preghiera di ragazzo assorto nello spazio multiconfessionale.
Guardiamo giù e notiamo subito quello che non c'è: niente niente schieramenti, niente caschi, manganelli, lacrimogeni, fumo o esplosioni. Sembra il campeggio di un festival estivo. Solo molto più ordinato e silenzioso. Il lato sud del piazzale antistante la cattedrale, quello che confina con Ludgate Hill e Cannon Street è completamente libero. Ogni giorno due milioni di passeggeri transitano nella Zona 1 di Londra, qua siamo in piena City ed i ragazzi sembrano conoscere i confini oltre i quali non è più possibile raccogliere la solidarietà dei passanti. Lo stesso vale per i "Controllori". i blindati sono lontani centinaia di metri. nessuno li vede, nessuno li teme. sonnecchaino come le divise che custodiscono. è l'una di notte e molti sono ancora svegli. Una televisione intervista una ragazza ai piedi della scalinata. è spigliata e preparata. Così come il giornalista che ascolta concentrato. Scattiamo qualche altra foto poi anche queste batterie deisistono.
Ci guardiamo pieni di sospensione. Viene in mente l'italia e gli scontri del giorno prima. La devastazione e l'odio dei media. Pensiamo ai nostri vent'anni ed alla voglia di regalarci un'ultima notte senza tempo. Ma abbiamo aerei e lavori da rispettare il giorno dopo. Un ultimo saluto alla sovrana della Gran Bretagna unita e recuperiamo la strada del ritorno.
Qualcuno a terra ha disegnato un pollice alzato "David Cameron likes this".
anche noi.

lunedì 12 settembre 2011

De buk is [still] on de teibol - Day DIX

La scorsa settimana Claudia ha deciso di rispondere alla mail che le avevo inviato qualche giorno prima. Era più di un anno che aveva scelto di interrompere ogni contatto e poco meno che avevo rinunciato a mandarle messaggi per cercare di mantenere viva una qualche forma di rapporto. Ritrovarla nella casella della posta mi ha fatto molto piacere soprattutto per la delicatezza con cui ha raccontato della sua vita. Sta trovando un suo equilibrio e sono felice perché se lo merita davvero.
Ovviamente ha chiesto della mia, del mio lavoro ed anche lei non ha resistito ad avere aggiornamenti sull'evoluzione del mio inglese.

È normale. Chi mi incontra, soprattutto chi conosce i miei travagli con questa lingua, vuole conoscerne i miei progressi, soprattutto dopo tanto tempo. In particolar modo la mia famiglia.
Così quando giovedì tornerò in Italia, come sempre troverò mia madre ad aspettarmi carica di fantasiose apprensioni sulla vita smodata della metropoli, ansiosa di lanciare allarmi disperati sul mio stato fisico che a suo dire sarà al limite della denutrizione e, soprattutto, vogliosa di sapere che finalmente il suo figlio qualcosa di buono la sta combinando lassù, almeno quella: imparare l'inglese.

Invece no. l'inglese non lo sto imparando. Mi sento sempre allo stesso punto; con gli stessi blocchi e la stessa difficoltà a capire televisione, commessi e vecchiette alle fermate del bus.
La colpa è mia. Della mia pigrizia, dei miei vizi, della mia timidezza e della stanchezza nei confronti di un certo rigore con cui dovrei affrontare le giornate.

Quando arrivai qua a Gennaio dell'anno scorso ero carico e motivato. Studiavo con mio coinquilino e ripetevamo la grammatica ogni giorno. Eravamo arrivati anche a parlare inglese tra di noi non avendo alternative anglofone nel flat. Per una serie di eventi tragicomici, terminata con la telefonata del manager mentre ero al gate per l'imbarco, non ero riuscito a prendere un lavoro da Pizza Hut e così ero stato costretto a rientrare in attesa di tempi migliori.

Poi qualcosa si è rotto durante quel breve intermezzo italiano e quando sono atterrato di nuovo oltremanica la voglia di integrarmi era stata sostituita da quella di ritrovare un equilibrio, qualunque esso fosse, relegando in secondo piano tutte le altre priorità.
Così mi sono preso il primo lavoro buono e per 6 mesi ho passato 60 ore a settimana in un ristorante italiano, dove trascorrevo le giornate a vegetare in attesa dei 20 clienti settimanali ed a scherzare con il mio chef di Brescia.

Anche le amicizie le ho trovate tra quelli che potevo capire facilmente e con cui lavorare per la ricerca della stabilità che avevo perso a casa.
Di conseguenza anche le ragazze. Non avevo voglia di mettermi in gioco, di rischiare figuracce, di sembrare stupido.
Cercavo conferme e sicurezza e per questo mi sono buttato su tutto che che di italiano incontravo.

Verso la fine dell'anno scorso, stanco di perdere tempo nel basement di Biagio@Bankside, mi sono licenziato pronto a buttarmi in un altro lavoro che mi desse più soldi, più regolarità e qualche chance in più di parlare in inglese. La prima prova da Spaghetti House era andata bene, ma il tempo passato in un ristorante non certo da Guida Michelin, ma almeno di media categoria, aveva generato in me una repulsione verso certe cattive abitudini delle cucine turistiche: spazi angusti e menù economici.
Non ce la facevo a servire cibo in quel modo e così abbandonai la strada del cuoco per guadagnare altrove il Minimun Wage necessario a sopravvivere. Ben presto però mi resi conto che le mie speranze di sconfiggere con l'esperienza
maturata, i pregiudizi nei confronti di piercing e barba, che stranamente in questo paese, almeno nell'hospitality sono piuttosto forti, erano vane. Se vuoi maneggiare food and beverage, che tu sia cameriere, barista o pizzaiolo, scordati i peli in faccia ed il metallo sul viso.
Per altri tipi di posti [pub, negozi] non mi sentivo linguisticamente pronto e qualche curriculum inviato per posizioni più vicine alla mia formazione [grafico e dintorni] non avevano ricevuto risposta [qua dopo un anno che sei fuori da un settore iniziano a considerarti scaduto].

Quindi mi buttai alla ricerca di qualsiasi lavoro ed incappai nel Marketing Research Interviewer. Interviste in italiano dalle 08:00 alle 16:00 ad utenze private o professionali per sondare la soddisfazione relativa a servizi e/o prodotti o raccogliere opinioni sui medesimi. Paga di 8 pounds all'ora, contro una media nazionale di 5,93. Ferie quando vuoi. Lavori anche in mutande e nessuno stress della lingua.
Anche volendo non avrei potuto rifiutare visto che il conto in banca stava sperimentando tutti i limiti dello zero assoluto.

E così furono altri 6 mesi di call center, durante i quali raccolsi un po' di soldi senza alcuno sforzo e rafforzai la rete di relazioni sociali che ancora mi sostiene.


Lentamente però presi coscienza dei limiti di questa vita e di quelli della mia autostima che mi impediva di azzardare conversazioni con chi non fosse italiano da almeno 3 generazioni.
Per questo cominciai noleggiare film in inglese ed a frequentare un corso di lingua organizzato del council.
Ma è durato poco e la pigrizia endemica sommata alla voglia di non passare il tempo libero ad impazzire coi sottotitoli hanno prevalsero sul bisogno di migliorare la lingua. Visto che comunque la mia socialità rimaneva più che dignitosa. E tornai nel mio mondo.

Comincio a pensare che forse sono troppo vecchio per ricominciare da capo. Non ho voglia di studiare, di sembrare scemo mentre cerco una parola che non ricordo, di chiedere ogni volta “sorry?”.
Ero contento di come sono nella mia lingua. Ci ho messo tanto per imparare ad usarla ed ora non ce la faccio a mettere via tutto e ripartire da zero.
Sicuramente sono troppo distratto per riuscirci in maniera mnemonica. 3 anni di scuole medie, 6 di liceo [ho ripetuto il terzo!], due esami universitari passati con 26 ed un mese di corso intensivo a Dublino inducono a pensare che non sia quella la strada. Dovrei essere costretto a starci in mezzo a non avere alternative perché se mi lasci uno spiraglio io mi ci infilo e scappo via.

A peggiorare la situazione a marzo è arrivato il taglio delle ore al lavoro che mi ha costretto a trovare un part time. Risposi ad un annuncio per Kitchen Helper in un pub, sperando così di iniziare a lavorare con qualche inglese, invece quando dopo un'ora mi chiamarono per l'intervista dall'altra parte, manco a dirlo, c'era un ligure da vent'anni a londra. Per cui mi ritrovai, come già scritto, al centro della city, nella cucina italiana, di un pub italiano.
Che è un po' la metafora del mio essere enclave ostinatamente muta in territorio nemico.

Quindi continuo a vivere nella mia bolla di rumore diffuso, frustrato dal sentirmi per tutto il resto completamente a mio agio. Mi piace la città che offre mille alternative, che chiede scusa e lascia la precedenza, che sorride dietro ad ogni sportello e si veste in modo bizzarro. Mi piacciono i fagioli con i funghi a colazione, le vecchiette nei pub ed i charity shop. Ora che ho anche cambiato accomodation ho una stanza enorme in una casa normale che un amico ha voluto condividere con me.
E non me ne frega niente se gli inglesi sono formali ed asociali e le previsioni del tempo le aggiornano ogni ora.


Vorrei solo poterli capire.

Vorrei godere di questo posto fino a saziarmene come ho fatto a suo tempo con Roma, prima di farne indigestione.
Non dico che vivrò qui per sempre ma avrei voglia di prenderne finché posso: I musical che durano da 15 anni, i film che escono senza dover aspettare il doppiaggio, i concerti di tutti i musicisti in vita, i festival e quello che neanche ci si immagina.

Ma per questo dovrei rassegnarmi ad un passo indietro. Abbandonare la settimana lunerdì-venerdì 11:00-19:00 che ora mi permette di avere un ritmo normale e godere dei weekend, probabilmente ritornare in qualche ristorante e decidermi a tirar via i piercing almeno durante il lavoro.
La barba no, quella non sono disposto a barattarla.


L'unica consolazione è che mia madre non legge mai questo blog e non sa niente di inglese, così almeno con lei posso fingere di essere davvero fluently.


a.

domenica 7 agosto 2011

Women and engines... - Day CDLXXIII

Ormai è andata così. L'estate londinese ce la siamo goduta nel weekend di Pasqua, per me strepitoso, passato con Nancy tra Brighton ed i parchi del South-West della capitale. Da quella settimana di fuoco è stato un susseguirsi ininterrotto di giornate autunnali, variabili tra il grigio-fumo e il cenere.
La scorsa stagione a quest'ora ero con Alfredo e Luca in mutande ad Hyde Park, cercando disperatamente un ricovero dal sole in attesa del concerto di Sir Paul McCartney.
Ed invece il 7 Agosto stiamo già tremando all'idea che tra poco più di un mese legiornate ricominceranno ad accorciarsi drammaticamente e la pioggia a sconvolgere ogni tentativo di razionale l'abbigliamento quotidiano.
Non ci si è ancora abituati e si cerca di tener lontano lo spettro del sole che cala alle 4 del pomeriggio ed il risvegliarsi per mesi sempre con la stesso cielo chiuso affacciato alla finestra.
Abbiamo imparato così ad accontentarci del “Sunny Intervals
Da parte mia ne approfitto per risparmiare i soldi della Oyster Card [27,60£ a settimana] continuando ad usare la bici per quasi tutti gli spostamenti.come scrive la BBC nelle sue forecast. Ed ha godere di un intero pomeriggio di tiepida luce.
In realtà prima la prendevo praticamente sempre, se proprio non dovevo recarmi dall'altra parte della città, ma da qualche giorno sto evitando le uscite notturne se si fa “serata”. Quando sono previsti più di due giri di birra, la tengo a casa per evitare imbarazzanti ritorni ondivaghi.
Anche perché la luce anteriore è volata via mentre mi recavo sabato scorso ad Hoxton Square dopo essere saltato su una buca di Great Eastern Road, fracassandosi sotto le ruote delle auto che mi seguivano. Perché comunque anche qua, nonostante le Barclays Cycle Superhighway, le strade, soprattutto intorno alla zona di Liverpool Street, sono coltivate a buche e non è sempre facile tenere il controllo della bici, reso già difficoltoso dalla scarsa confidenza degli automobilisti inglesi con le frecce.Nel senso che non le conoscono molto, visto che comunque qua vanno tutti piano e rispettano le distanze, gli stop e le precedenze. Però se ti ritrovi a pedalare vicno al marciapiede, sfilando una coda di auto che viaggiano lente, può diventare molto pericoloso. Ed infatti sono finito sopra il cofano di una ford che la sua guidatrice aveva deciso di far sterzare senza preavviso. A parte lo spavento iniziale che ti porta ad analizzarti velocemente le reazioni motorie per capire se ti sei rotto qualcosa ed il timore di vedere improvvisamente una macchia di sangua espandersi da sotto la maglia, i danni sono stati minimi: un gomito escoriato e il campanello da ricomprare.

Devo dire che la signora in grigio [si comprano le auto in tinta con il cielo!], una tipica inglese di mezza età, bionda con terribile frangetta di ordinanza, è subito scesa per rassicurarsi delle mie condizioni, anche se giurando sul lato B di Pippa Middleton di aver messo la freccia, che invece restava inerme dietro il vetro del fanalino. Ed un'altra di colore, molto bella tra l'altro, con bambino meticcio in monopattino e casco, mi ha soccorso offrendomi dell'acqua, tamponandomi il gomito con un fazzolettino e dispensandomi consigli sul decorso post-traumatico e la primissima terapia riabilitativa.
Anche un altro tizio inglese si era fermato, più interessato alla dinamica dell'incidente che alla mia salute. Ed infatti una volta accertata la banalità dei fatti se ne è andato borbottando qualcosa sui ciclisti ed il loro vizio di viaggiare sempre nascosti ai lati della strada! Dopo l'ennesima rassicurazione se ne andata anche l'attentatrice, imboccando la traversa per la quale mi aveva impattato. Ovviamente sempre senza freccia.
Lo so, starete pensando che avrei dovuto chiamare l'ambulanza, farmi refertare, fingere dolori ovunque e prendere un po' di soldi dall'assicurazione. Purtroppo quando è avvenuto il sinistro stavo parlando al telefono con una ragazza, avevo auricolare e mani sul manubrio certo, però effettivamente ero poco concentrato e non avrei potuto giurare sul lato B di Pippa che effettivamente la freccia della ford non fosse accesa.
Per cui visto che comunque a conti fatti avevo solo un po' di sangue e un pound per un nuovo campanello da spendere, ho tranquillizato la signora lasciandola libera di attentare ad altri ciclisti inermi.
Nel frattempo la soccorritrice continuava a darmi spiegazioni su shock e profilassi, così l'ho salutata ringraziandola di nuovo, le ho permesso di sbeffeggiarmi davanti al bambino per non aver indossato un caschetto protettivo e mi sono diretto verso il lavoro; non prima ovviamente di aver richiamato la ragazza con cui ero al telefono e che avevo salutato gemendo flebilmente dopo il volo con un: “ho avuto un incidente, ti chiamo appena posso...”.
Certo che vista così la bici a Londra non sembra essere la scelta migliore. Tra l'altro continuo a perdere peso in maniera preoccupante, l'ultima rilevazione ufficiale tre settimane fa, scalzo ma vestito, indicava 66 Kg. Ma sono cifre destinate a calare visto che l'altro giorno mi sono sorpreso nel riuscire a chiudere completamente degli shorts che avevo comprato qualche anno fa anche se troppo piccoli, perché erano gli ultimi del negozio e li volevo anche a costo di portarli con il primo bottone slacciato. Ora mi vanno a pennello mentre i i jeans taglia 42 mi cadono nonostante la cinta, perché il buco che usavo di solito è diventato ormai inadatto alla mia misura che a leggere l-etichetta dei pantaloni presi la settimana scorsa, è ufficialmente passata alla 40!

Comunque ad una settimana dall'incidente il campanello “I love my bike” è tornato al suo posto, i dolori del mattino dopo non ci sono più ed anche la crosta è scomparsa improvvisamente ieri notte mentre onoravo il sabato sera al “The Light”... insieme alla ragazza con cui parlavo al telefono prima di cadere.

a.

martedì 12 luglio 2011

Thursday Morning Fever - Day CDXLVII

oggi posso dire finalmente di stare quasi bene. non in senso cosmico/panteistico e neanche in quello epicureo. ma almeno in quello superficialmente clinico. nel senso che ho quasi del tutto smaltito la sbornia di febbre, o forse influenza, che mi ha costretto a letto per due giorni la scorsa settimana.
ed è sempre colpa della bici.
comincio a dubitare che questa sana abitudine sia davvero così salutare visto che in meno di un anno mi ha causato un naufragio nel profondo east-end di londra [vedi], un paio di febbri malariche [il primo episodio risale all'ottobre scorse e mi aveva piantato in casa per una settimana] e un persistente ed acuto dolore localizzato nella zona del coccige, meglio conosciuto come... sapete bene cosa intendo! provocato da una innovativa e tecnologica sella ergonomica, acquistata per la cifra record di un pound da Poundland appunto, che a dispetto del prezzo possiede delle linee sinuose e perfettamente adatte alla funzione che deve svolgere, almeno così diceva la confezione, in realtà credo fosse più una rimanenza di qualche sexyshop di Soho, rimasta invenduta, e l'originale destinazione d'uso fosse quella di preparare alla carriera di audaci pornodive, piuttosto che di agile Grimpeur. Perché a dispetto dele strade migliori e delle piste ciclabili il mio sedere continua a dolere come dopo uno sprint sui sanpietrini dei Fori Imperiali. Mi sa che si tratta di un problema di “hardware” e non “software” e devo lavorare sul rafforzamento degli spessori anatomici piuttosto che che sulla seduta!
Ad ogni modo la temperature me la sono beccata tornando mercoledì scorso dal lavoro sotto uno dei classici ed improvvisi temporali estivi londinesi; che a differenza di quelli tipicamente nostrani: scrosci inaspettati che paralizzano la città 4/5 volte durante la bella stagione, qua oltremanica ha la singolare caratteristica di verificarsi più volte al giorno, quotidianamente, da settembre a luglio, ampiamente annunciati da una giornata di grigio totale a cominciare dall'alba fino ad arrivare all'imbrunire. tra l'altro non sempre percepibile vista la copertura ininterrotta del cielo.
In realtà a nessuno gliene frega niente. la città non se ne accorge proprio e continua a vivere di vita propria, con gli operai che al solito scavano e riempono buche lungo ogni strada della città, i citymen che collezionano bicchieri semipieni sotto i loro piedi fuori dai pub, ed i ciclisti in bici che rischiano beatamente la vita schivando i cab in inversione di marcia ad ogni semaforo.
Io, che ho deciso di prendere la residenza a dowinng street, non potevo certo essere da meno, così mercoledì pomeriggio, fingendo noncuranza verso il diluvio che si abbatteva sulla capitale, mi sono infilato il k-way ed ho inforcato la bici per 6/7 kilometri fino a casa.
Ad essere sinceri la scena era più da “Fantozzi contro tutti” che da “Gran premio della Montagna” ed il tempo impiegato per arrivare a destinazione mi è sembrato interminabile. Alla fine sono entrato nella camera che ero ghiacciato, bagnato marcio e stanchissimo. ma sentivo addosso l'eccitazione dell'impresa così invece di buttarmi sotto la doccia per recuperare qualche grado ho semplicemente tolto il costume da supereroe per infilarmi qualcosa di asciutto. Mi sembrava una soluzione più che adeguata per un personaggio del mio calibro. Ero a posto, avevo superato l'ostacolo. Cena, film e letto ed il giorno dopo sarei stato pronto per una nuova avventura!
Invece alle 06:15 della mattina successiva ero in preda ai deliri, pieno di dolori, con la gola arroventata ed il termometro in bocca a registrare la temperatura record di 38,6!

giovedì 23 giugno 2011

Blog Out - Day CDXXVIII

chiusa la pagina di facebook, mi trasferisco qui. almeno non avrò più l'ansia di aspettare risposte a saluti che giacciono moribondi da giorni in fondo all-ultima riga della chat e commenti a domande che mancano di arrivare, nonostante il destinatario sia riportato chiaramente in calce.

lascio intatto il piacere del voyeurismo altrui, relegandolo a questo spazio, sobrio ed essenziale. luogo intimo e dimensione ristretta. concentrata al solo pensiero e riservata a chi ha la voglia di arrivare in fondo a noiosi testi infarciti di edonismo e autoreferenzialità.
poche foto, nessun link né articoli da approvare o ignorare. niente chiacchiere, applicazioni o tag incrociati da seguire a ritroso. rimane skype per chi, come me, sente sempre il bisogno di un confronto in tempo reale.
ed è qui se vi pare: andrea.canzonetta. a me fa sempre molto piacere.

l'uomo invivibile rimane attivo per pochi altri e soprattutto per organizzare il quotidiano, che non può più prescindere da certi strumenti, soprattutto in un posto come questo che complica distanze ed orari, rendendoli difficilmente compatibili.
mi mancate tutti. spero davvero di rivedervi presto.

a.

mercoledì 22 giugno 2011

Who want to ride my bicycle?! - Day CDXXVII

Serata tranquilla stasera, giusto un paio di birre con Emily che è a Londra per una settimana dopo aver condiviso qualche mese con noi l'anno scorso. Ero andato in bici perché l'appuntamento era a Stratford, una fermata di Central Line da casa mia ed, a parte una piccola deviazione iniziale, è un lungo rettilineo di 4 Km, anche se io all'andata ne ho percorso qualcuno in più cercando improbabili scorciatoie. Al momento di salutarci, intorno alle 22:30, ho salutato i miei amici ed ho imboccato quella che credevo fosse la strada del ritorno, lontana poco più di un quarto d'ora, pedalando tranquillamente.
Dopo 10 minuti che vagavo senza riconoscere nessuna delle vie ho iniziato a preoccuparmi aumentando l'andatura. Dopo 20 eri in pieno panico e non sapevo più dove andare.
Allora ho cominciato ad improvvisare errori. Ho seguito una percorso inventato, chiesto indicazioni, tallonato gli autobus e mi sono perso. mentre consultavo la mappa ad una fermata qualcuno da un'auto mi ha lanciato un uovo prendendomi le gambe. spinto dalla paura di rimanere vittima di qualche gang dell'East End, ho preso a correre come un pazzo, senza più considerare il codice della strada. Ho imboccato superstrade e sceso contromano la rampa di una motorway. Saltato tutti i semafori e i sensi unici che si frapponevano tra me e la salvezza. ho cercato consiglio nei cartelli e mi sono perso ancora. Il tutto senza luce e senza giacchetto fluorescente. Ad un certo punto ho pensato che non sarei tornato a casa prima dell'alba oppure che sarei stato investito da un camion. la ruota posteriore sembrava soffice in maniera preoccupante ma non volevo pensarci. non potevo permettermi una foratura. Ho ignorato il freddo e la pipì di quelle maledette birre, accelerando ogni volta che una macchina sembrava avvicinarsi in maniera sospetta.
Continuavo a leggere nomi di zone sentite solo negli annunci delle camere in affitto. ero pronto a chiamare il 999. poi è apparso l'N8 ed ho vissuto la gioia disperata del naufrago senza più bussola. non ho più lasciato la mia stella polare. Novello Pollicino, seguendo il percorso delle fermate di quella linea a ritroso, alle 01:05 ero di nuovo a Stratford senza aver smesso mai di pedalare, da là dritto a casa. Gli ultimi chilometri sono stati degni di Dorando Petri. Sono arrivato, stremato ma senza aiuto, in 15 minuti, come da programma.
Ora vado a fumarmi una sigaretta.

a.

martedì 21 giugno 2011

friended - Day CDXXV

Stanotte ho sognato che decidevo improvvisamente di tornare in italia per sorprendere i miei amici come non ero riuscito tre mesi fa.

Stavolta niente preavvisi, programmi o appuntamenti definiti per dividermi il tempo con tutte le persone che ho bisogno di incontrare quando torno a casa. il biglietto comprato all'ultimo momento spendendo una settimana di doppio lavoro e una valigia leggerissima perché nessuno sarebbe stato ad aspettarmi a ciampino con auto comode in cui smaltire le solite 30 gocce di Lexotan e braccia di supporto per le valigie in doppia cifra.
Nessun regalo con me e poca ansia addosso per il volo che stranamente non preoccupava affatto, tanto da scomparire subito nella memoria del risveglio, che cerca di arraffare al volo ogni istante del mondo onirico mentre sfugge alla registrazione dei particolari scivolando tra dettagli leggerissimi.

Così che il film di stanotte comincia immediatamente a casa di mia madre. Una casa che ora non c'è più, almeno come l'ho sempre vissuta io, e che faticherò forse sempre a familiarizzare. Come il viso di chi improvvisamente dopo anni, decide di tagliar via barba e baffi e diventa straniero anche al proprio riflesso nello specchio ed alle mani che cercano, lisciando il mento, quella resistenza ispida conforto di preoccupazioni e pensieri resistenti.
Ci sono siepi e muretti scomparsi nel set in cui si gira il lunedì di una pasquetta tardiva, scelta dai pensieri inconsci a cui serviva un'occasione collettiva in cui raccogliere più interpreti possibili. E c'è un cancello con le sbarre che permette di guardare fuori, al posto della lastra di metallo che mia madre a deciso di frapporre tra lei ed il mondo esterno, chiudendo per sempre all'imprevisto ogni voglia di proporre incontri casuali.
Io sono all'interno e guardo fuori, verso la casa di quelle che è stato il primo grande amico della mia adolescenza e che ora, mi hanno detto vive e convive in un altro posto. Nel cortile di quella casa ci sono persone che si muovono, veloci e ritardatarie, per non perdere il sole che aspetta impaziente. Da qui non riesco a distinguere le espressioni, anche se la consapevolezza riesce ad associarle ad immagini consuete.

E comincia l'ansia.

La paura di una sorpresa imbarazzante. Di una rottura scomoda per la routine collaudata di chi fa a meno di te da troppo tempo per riuscire facilmente a cambiare programma. Perché loro sembrano così fluidi nei loro automatismi e recitano a memoria un copione in cui non sembrano esserci ruoli scoperti. A meno di non rassegnarsi ad una comparsata periferica che però diventerebbe imbarazzante per tutti visto che sei comunque un nome che anni fa riempiva le locandine.

Poi cambio la scena.

Cammino lungo il vialetto. Lentamente perché avverto dietro la curva il silenzio del brusio nascosto. E quasi non vorrei continuare per non complicare tutti. Ma sono qui per loro, o per me, e poi comunque nei sogni non è che si decide sul serio l'azione. Abbiamo una volontà ritardata, come il dèja vù che ci rende solo rassegnati protagonisti di situazioni inevitabili.
Così continuo e comincio a scorgerli in sequenza. nel sogno sono molti, seduti su l bordo della rampa che un tempo conduceva al garage, credo almeno 7/8. riesco a ricordare andrea che si gira e mi guarda dal basso senza dire nulla e serena, appoggiata al cancello, anche questo ormai rimosso, con gli occhiali da sole che le ho visto indossare in qualche recente foto di gruppo,
forse c'è anche michele ed un altro che non conosco o riconosco. ed un posto lasciato vuoto. Sicuramente c'è il mattew perché è l'unico a dire qualcosa quando dopo il silenzio prolungato di tutti provo ad accennare un commento. A sottolineare la mancanza di reazione alla sorpresa. Che evidentemente non è tale.
Ma non è neanche sgomento.
O disappunto.
Nulla.
Non c'è alcuna reazione da parte di nessuno. Così alessandro cerca di dire qualcosa che spieghi, ma io non posso sentire perché sono già di spalle e cammino verso casa con david che mi raggiunge per dirmi quello che non riesco a ricordare se non nelle sensazioni. Mi porta scuse collettive e mi chiede di capire. Indossa la felpa verde con la zip ed i suo pantaloni larghissimi. Senza occhiali e con i capelli più corti dell'ultima volta che ci siamo visti, sembra quello di qualche anno fa quando vivevamo entrambi a roma.
Ed eravamo vicini.

È l'ultimo pensiero che mi resta in mente, finché torna la sensibilità del corpo, che avverte la fine di ogni sogno con il peso schiacciato sul letto; ed a quella immagine mi aggrappo per restare attaccato al sogno e riavvolgere al contrario il nastro prima che la luce della coscienza lo bruci rendendolo illeggibile.
Poi pensieri, considerazioni, frasi e parole cercano di tradurre quel moncone di sceneggiatura senza finale. Ed è facile trovare la strada che porta a conversazioni strappate e saluti mai consegnati.
Ai silenzi che allungano lo spazio tra qua e casa ed immagini in cui sempre più spesso la tua assenza è invisibile. All'impossibilità di scandire i tempo insieme e di sentirsi utili.
Alle incomprensioni.

Ed aumenta la paura di doversi rassegnare a ruoli sempre minori, pena inevitabile di chi ha deciso volontariamente l'esilio. In cui la necessità della parte è soltanto di chi non vuole accettare il suo declino, mentre l'isolamento non produce nuovi stimoli creativi. Viene voglia di tornare prima che sia troppo tardi. Prima di subire quel salto generazionale che elimina i personaggi dalla memoria collettiva. Forse è per questo che ho sognato di comprare un biglietto di sola andata.
Oppure di sparire di nuovo, lasciando a pochi appassionati la visione privata di proiezioni minime; risparmiarsi la patetica uscita di scena di una star piena di nostalgie e cominciare a declinare mio malgrado qualche amico al passato.

a.

giovedì 16 giugno 2011

It rains... the thievish government! - Day CDXXI

L'insonnia comincia a svegliarmi sempre più precocemente anche qui. Nonostante vada a dormire non prima di mezzanotte, la mattina mi ritrovo con l'orologio in mano ogni volta più presto. Ed io che avevo sperato di averla seminata a Roma. In realtà credo sia più per l'effetto della nuova stanza che mi spara la luce delle finestre direttamente sul letto appena comincia ad albeggiare. Ho provato ad appendere davanti alla tenda Agata, la coperta colorata che da anni rimbalza tra me e chiara a proteggere le reciproche basse stagioni. L'effetto estetico è di sicuro impatto ma la capacità oscurante è praticamente nulla a parte un risveglio molto più "cromatico" del grigio topodellacity che sta preparando al solstizio d'estate.

Perché qua da una settimana il sole lo vediamo solo nelle iconcine delle previsioni più ottimistiche ma oggi il tempo, per non voler contraddire gli infallibili metereologi della BBC che avevano sentenziato "light rain shower", si è messo giù subito di pioggia così mi ha tolto ogni dubbio sul come recarmi al lavoro.

Quindi stamattina lascierò a casa la bicicletta che mi porta in giro da quando era cominciata l'ennesima crisi economica di questa tourné oltremanica. Questo comporterà però una discreta perdita di tempo sui meccanismi perfezionati in questi giorni e che mi avevano garantito una minima perdita di tempo negli spostamenti. Con meno di venti minuti infatti riesco a coprire i 4 km che separano casa mia dal pub in Tabernacle street; strada ventosissima o almeno così mi sembra a volte tanto che in certi momenti credo di pedalare solo per non essere spinto indietro!. Finito di lavare piatti e cuocere hamburger, con altri 15 minuti sono sotto il Ludgate House di Blackfriars Road, l'edificio che ospita la GFK NOP. Magari nel percorso sono costretto a saltare qualche semaforo rosso troppo insistente, ma in linea di massima mi attengo al codice della strada perché qua non scherzano neanche con i ciclisti e sono capaci di darti una multa [ticket] se ti beccano a pedalare sopra i marciapiedi.

Oltre a perdere per il mancato guadagno ci rimetterò 6 pounds circa di biglietti, così oggi almeno una decina di sterline sono già andate; è proprio il caso di dire: “piove! Governo ladro!”.

Non è che sia una manovra finanaziaria, me ne rendo conto, soprattutto per qualche mio amico in carriera ;) però dopo audaci analisi di mercato e spregiudicati calcoli ottimistici, sono arrivato a calcolare intorno ai 210 £ l'attuale prodotto interno lordo settimanale; a fronte di un fabbisogno minimo di 120 £ a settimana. Al netto di Oyster Card [27,80 £ - 7 giorni] e intrattenimenti. Le tasse invece sono già calcolate visto che le pagherò solo per il nuovo lavoro visto che in entrambi non raggiungo le 20 ore a settimanali, soglia sotto la quale non si pagano tributi. Anzi nell'ultima pay slip mi sono ritrovato anche 24 £ di rimborso! Nel frattempo è arrivata la prima busta paga del Windmill. Dopo appena 3 giorni sono gi in regola: 48 £ per 10 ore! Mi sa che stasera dovrò pagare da bere a tutti.

Quindi si preannuncia un'altra estate di viaggi e spese folli. Però bisogna dire che lavoro soltanto una trentina di ore a settimana così ho il tempo di buttare il resto del tempo a scrivere sul blog.

In realtà mi sto dando da fare per cercare qualcuno con cui fare language exchange: chiacchierate bilingue tra due persone che stanno studiando ognuno la lingua dell'altro. In pratica io dovrei paralre in inglese a qualcuno che dovrebbe rispondermi in italiano... Dicono che p meno complicato di come sembra. Speriamo bene perché in effetti sembra un'operazione complicatissima di equilibrismo. Io ci sto provando seriamente solo che è più difficile di quanto pensassi trovare qualcuno disponibile e credo che mio malgrado sarò costretto ad allargare il raggio della ricerca, non limitandomi alle studentesse americane iscritte ai master qui a londra.

Intanto Nancy è bloccata all'aeroporto di Napoli perché il personale di terra ha imbarcato senza controllare, passeggeri diretti a Gatwick anziché Stansted. Ed in più ci sono bagagli di un altro volo sul suo aereo. Ora sono tutti scesi e li hanno fatto rientrare al gate per fare un po' di ordine. Un po' come si fanno uscire i cavalli imbizzariti dai canapi della partenza al Palio di Siena.
Eppure a Napoli non piove...

a.

sabato 11 giugno 2011

Keep calm and carry on - Day CDXVI

416 giorni sono passati da quando sono decollato dall'aeroporto di Pisa, con la benedizione della nuvola islandese che all'ultimo ha deciso, senza che io avessi insistito, di lasciarmi passare. mi sembra una ricorrenza sufficientemente inutile per provare a riprendere il filo del quotidiano, visto che ormai di tempo ne ho a sufficienza e sto anche finendo le scuse buone per non studiare l'inglese.
oltremanica oggi si è vissuta una delle più tipiche giornate inglesi: così mentre la tradizione sfilava in alta uniforme a S. James Park per ricordare alla regina che dio le vuole bene e le ha regalato un'altro anno di cappellini e sunday roast, l'eccesso pedalava nudo a Marble Arch, per ammonire il mondo dall'uso indiscriminato di auto e petrolio. il tutto ovviamente sotto un cielo che ha regalato un susseguirsi continuo di stagioni, temperature e stati d'animo.
manco a dirlo mi sono perso entrambi gli avvenimenti, anche se ero in centro, un po' perché il mio parrucchiere di fiducia non c'era e quindi avevo dovuto ripiegare su quella che un tempo era la mia prima scelta, salvo poi cadere i disgrazia per evidente perdita di dedizione, che mi ha rovinato la mattinata a credo i prossimi 15 giorni togliendomi ogni slancio propositivo; ma soprattutto perché ero intenzionato a spendere il buono da NEXT che mi avevano regalato per il compleanno. quindi mi sono buttato nella ressa di Oxford Street uscendone dopo due ore con il buono ancora intatto ma con due paia di occhiali ed un cappellino, tutto Primark, costo totale dell'Operazione Consolazione 5£!
Forse sarei ancora riuscito a vedermi almeno il passaggio della RAF ma ero solo e mi rompo a girare troppo per la città senza qualcuno con cui parlare. Purtroppo Nancy è a Napoli fino a mercoledì e di solito è lei che mi accompagna a perdere tempo. così me ne sono tornato a casa con tante buone intenzioni di dedicarmi all'language improvement a cui non ho dato seguito perché alla fine ho deciso di ricominciare a scrivere, sennò finisco per scordarmi anche quel poco che mi succede.
la notizia più importante della settimana, almeno fino ad oggi, è il nuovo lavoro part-time come aiuto cuoco (e kitchen porter!) al The Windmill un pub della City gestito da un genovese ormai da quasi 20 anni a londra. Il nuovo prestigioso incarico è arrivato davvero per caso nel giro di 24 ore. lunedì ero a casa di nancy, pronta a partire per l'italia, e mentre sfogliavo gumtree, in preda al panico per il taglio progressivo delle ore al call center, ho visto l'annuncio a cui ho risposto con poche pretese perché, visti gli orari 12-15 e i giorni lun-ven, immaginavo la montagna di risposte che sarebbero arrivate. l'unico punto a mio vantaggio era l'esperienza di 6 mesi da Biagio@bankside come pasta/pizza chef che mi rendeva decisamente sopraqualificato per quel ruolo e quindi appetibile.
contro ogni previsione un'ora dopo salutata nancy mi è arrivata la chiamata di alberto, il titolare del pub, che mi chiedeva la disponibilità per un colloquio. in due ore avevamo parlato, il giorno dopo ero in prova e mercoledì ho iniziato a lavorare al fianco dello chef antonio, sardo trapiantato in uk, sposato con una filippina e papà di tre bambine. da allora quando arrivano le 15 mi tolgo grembiule e cappellino, salto in bici e corro come un disperato verso blackfriars bridge nel tentativo di perdere meno tempo possibile, dato che alle 15 comincia anche il turno al call center. il tutto è capitato tra l'altro nella settimana in cui ci hanno tolto altre 4 ore di interviste ed i soldi non mi sarebbero mai bastati per stare nelle spese. tanto che avevo già iniziato a limare i fondi per trasporti e birra!
alla fine, come mi ha detto una volta mia madre, qualcosa succede sempre. anche se serve tenermi a galla piuttosto che tirarmi fuori. ma non mi lamento.
sfortunatamente la novità mi ha costretto a lasciare il corso di inglese che seguivo da un paio di mesi presso la biblioteca del mio council [tower hamlets]. non è che fosse eccezionale ed era frequentato soprattutto da donne adulte provenienti da paesi dell'aria asiatica (bangladesh, sri lanka, ...) per cui non avevo stretto amicizia con nessuno. però mi costringeva a parlare un po' di inglese perciò penso che mi iscriverò a qualche scuola che utilizza il metodo callan così da forzarmi ancora all'interazione.
nel frattempo continuo a prendere in prestito dvd che più che vedere leggo, visto che passo il 90% del tempo a fissare i sottotitolo cercando di sincronizzarli all'incomprensibile mormorio gutturale dell'interprete di turno e finisco sempre a notte fonda perché devo fermarmi ogni due minuti a controllare il significato della parole che non conosco. per fortuna che la mattina non mi devo alzare presto. il problema è che mi sto rendendo conto che ogni parola che memorizzo ne dimentico altre due e col tempo inoltre, tendo a dimenticare anche quella memorizzata pur non avendone assimiliate altre. in pratica sono nel mezzo di una crisi emorragica di vocaboli...
stasera covent garden per incontrare un po' di gente nuova. qua c'è sempre il problema del "ricircolo" come dice lorenzo: bisogna continuamente provvedere a rimpiazzare quelli che lasciano londra, che però sono insostituibili, altrimenti non se ne andrebbero...
a.

sabato 23 aprile 2011

nancyears - Day CCCLXVIII











non pensare che sia tutto
da buttare quel che resta
che c'è un tempo per il lutto
ed un altro per la festa

spetta a noi cambiare il vento
quando l'aria si fa pesante
può bastare anche un momento
se sai cogliere l'istante

ora gonfia bene il petto
e respira l'aria buona
non pensare a quel che ho detto
che alle volte il cuore tuona

son convinto ci sia molto
sotto l'ombra del vesuvio
ma finora quel che colto
è la scelta ad ogni bivio

quindi smetti quel lamento
che accompagna ogni risveglio
e ricerca nel tuo tempo
solo ciò che c'è di meglio

quello è il giorno della vita
che appartiene solo a te
quindi indossa una risata
anche se non hai un perché

tutto il resto vedrai migliora
nonostante quel che pensi
e anche se non lo sai ancora
per me "londra" è star con nancy.

buon compleanno piccola, disastrosa, isopportabile sorellina.

a.

martedì 29 marzo 2011

Crodiade [così come la ricordo io] - Day CCCXLI

nonostante la distanza
che costringe a mille pause
non c'è modo che l'assenza
partorisca buone scuse

e per questo te lo dico
dalla terra di albione
caro mio lontano amico
per l'imperdibile occasione

'che la cifra ora è tonda
e per un po' sarem vicini
dopo anni in cui "i ragazzi"
io chiamavo bradi ed affin

da quei tempi in verticale
di equilibri assai precari
che cercavano il finale
costeggiando amici e mari

per le storie ancora appese
dentro cuori mai felici
se non per le braccia tese
che accoglievano gli amici,

ne abbiam' viste noi di vite
a cercar nelle ragazze
tra "diane" e "margherite"
che svegliavano le piazze

quegli sguardi da cui uscivi
dopo averti già sfiorato
con il grido dei redivivi
"canzone' me so innamorato".

ne seguì poi un gran nero
dentro cui si perse la rotta
e per un po' a dire il vero
più che abbracci tra noi fu lotta

ma di quel brutto e triste oblio
questa storia ora non chiede
se fu il tuo oppure il mio
quel che prese e non poi diede

era forse il momento
di capire lì da soli
da che parte era il vento
per lasciar vecchi moli

che ci avevano legato
alla terra ormai sicura
aspettando il dolce afflato
di una fervida paura

con le gambe assai più molli
è tutto il resto nella testa
io tra le nebbia e tu sui colli
siam partiti un giorno e basta.

ora capita ben poco
di sentirci per davvero
ma non è mai il triste gioco
del chi eri e del chi ero

perché un passo per volta
si percorre ancor la via
ed anche se la tua là è molta
un po' meno qui è la mia

ci riporterà un giorno
tre la spiaggia ed il vecchio mare
i "ragazzi" tutt'attorno
ed il tempo ad ascoltare

mentre sale già la luce
quella ciurma lontana
tu chitarra e noi voce
ad urlare "diana".

a.


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sabato 26 febbraio 2011

Bassa stagione - Day CCCXI

avevo passato la notte a parlare con la mia ex in un grottesco sogno in cui lei era con me a casa di mia madre, in cerca di un abbraccio, ma indiscutibilmente sposata. la sera prima avevo parlato con chiara di un possibile ritorno in italia e della nostalgia per gli tutto quello che avevo lasciato dietro di me...

aspetto che la voglia di restare dov'ero,
diventi la scelta di quel che ora è un pensiero,
e le facce, le voci e gli abbracci di allora,
trovin' la fede per sorprendermi ancora.
non so più se sia giusto cercar in queste strade,
i pezzi raccolti di una vita che cade.
né se l'accento che sfugge all'orecchio ed al cuore,
sarà mai più intenso di un ostile rumore.
intanto mi perdo in sogni di vite
vissute, in sonni di notti infinite.
finite in albe che sono ancora notti,
a bruciar nella febbre dei sogni interrotti...

a.

domenica 30 gennaio 2011

Assenze - Day CCLXXXIV

quasi un anno ormai qui ma dopo un paio di fine settimane troppo precoci comincio ad accusare la vertigine dei vuoti aperti da ciò che ho lasciato in italia.

e sempre di più mancano gli miei amici. non quelli di una vita, ma quelli della vita. quelli che sono rimasti intorno setacciando anni di incontri trascurabili e buone promesse disattese. quelli delle cene senza una ragione e delle discussioni piene di motivi. quelli che ogni volta che li incontri non li saluti con la mano o il cinque o le pacche sulla spalla, ma li abbracci cercando di allargare il petto finché si può e di quella stretta non ne lasci fuori neanche un pezzo, perché deve bastarti fino alla prossima. quelli che non chiami “fra'” o “bra'” o con qualche altro grado sociale, ma per nome schioccandolo così, netto, che puoi quasi vederlo venir fuori dalle labbra insieme al suono; ed ogni volta che incroci quello stesso nome per strada, pensi che qualcuno si chiama come il tuo amico.

mi mancano i compagni casuali e quelli distratti. quelli poco affidabili che non possono deluderti perché non ci investi mai troppo, ma che sono presenti quando devono la loro parte.

mi mancano anche gli sconosciuti; le persone che ero abituato ad incrociare senza un saluto ma che potevo riconoscere già di spalle. come la roba non tua che ti ritrovi in casa, che non tocchi mai, ma ti accorgi quando sparisce.

mi manca l'esser tutto questo per qualcun altro, amico compagno o indifferenza abituale.

e mi manca quella strada. l'area protetta dove ognuno aveva uno spazio di legittimità e le persone non erano abituate a veder scenari e interpreti cambiare alla fine di ogni corso di lingua.

mi manca l'idea di saper dove portare una ragazza per un bicchiere, salutando il proprietario e lasciando scegliere a lui il vino dopo aver scherzato con la tua amica. mi manca non saper bene dove andare per una pizza, una cena o una birra. o meglio. mi manca l'idea di appartenergli in qualche modo a quel posto, se è vero che ogni luogo vive anche di chi lo attraversa.

mi manca il saluto e l'intesa con chi è dietro il bancone, le battute con il barista anche quando lo incontri fuori dal tabaccaio ed i divani vuoti dei locali durante la settimana.

mi manca il proprietario della vineria che prende la sedia inforcandola al contrario e resta un quarto d'ora a parlarti di una bottiglia. mi manca l'esplosione generale del riso quando gli dici che è la terza volta che cerca di vendertela senza successo.

mi manca il cinema sotto casa che proietta tutti, ma proprio tutti, i film che avrei voglia di andar a vedere; quelli che ormai pensavo usciti dalle sale e quelli che neanche conosco. mi mancano i festival di corto, i documentari, le presentazioni e le retrospettive. mi manca il biglietto di ingresso a 4 euro e le sale nuovissime.

e poi mi manca la casa e le persone con cui la dividevo. le porte delle stanze sempre aperte, le visioni collettive ed i patteggiamenti sulla musica da mettere nel lettore. il gioco del ristorante e la lista della spesa per i grandi eventi. le cene organizzate al dettaglio, le ricette rovinose e le grandi scenografie della tavola. quel meccanismo perfetto di una convivenza che non si è mai inceppata. mi manca preparare il caffè per il mio coinquilino e vedere l'altro con la faccia di un botero dopo 13 ore filate di sonno.

e mi manca la mia stanza.

i miei libri, i cd, i poster, le mie fotografie e tutta la polvere della vita che è sopravvissuta alle periodiche pulizie. mancano anche le coperte colorate, i cuscini per il futon, i piatti comprati per gli invitati speciali e lo stereo della sony che suona una meraviglia. mi manca la macchina per uscire la sera e il treno verso bologna. mancano i banchetti per emergency e le domeniche con la digitale in giro da solo. mi manca la feltrinelli ed il lago di martignano. il primo maggio al forte preneste, la criticalmass ed il carnevale liberato. manca la famiglia, il senso di protezione ed il paese dove tornare ogni tanto per lasciarsi viziare un po'.

ma c'è tanto altro di cui davvero posso fare a meno e che mi rende angosciante l'idea del ritorno e nel frattempo continuo a scrivere.

a.