sabato 19 giugno 2010

... ma forse anche questo è amare - Day DIX

Sette giorni fa arrivava Claudia da Livorno, prima visita ufficiale di un “caro” da quando sono tornato oltremanica. Come al solito il fine settimana passato insieme è stato divertente e movimentato, versione Brit Pop di tutti quelli trascorsi nella tana di via Guarducci da quando, a partire dall'estate scorsa, ho iniziato a rifugiarmici sistematicamente tutte le volte che avevo due giorni liberi. Come sempre il tempo è volato impercettibile, equamente condiviso tra la camera e il mondo esterno. Siamo stati a provare accessori e comperare vestiti usati nei Charity Shop di Camden Town e a mangiare dell'orribile Fish&Chips nel delizioso back courtyard di un pub dove tra l'altro già stato quattro anni fa con David ed Alfredo. Abbiamo trovato il tempo di perderci nel delirio di urla e alchool del sabato notte londinese e di far colazione con uova e pancetta [che non c'era!!!]; di vedere Buckingham Palace ed addormentarci sotto gli alberi di Hyde Park.
Così come è sempre stato dalla sua prima visita romana, ovunque abbiamo trovato il modo per provocarci maliziosamente, per sistemarci in pose da vacanzieri giapponesi in cui scattarci ridicole foto ricordo, per improvvisare scenette demenziali con le voci dei personaggi che ci fanno ridere. Non c'era nulla di forzato, di ostentato o cercato per forza; è stata davvero una lunghissima vacanza di due giorni. Come tutte le altre volte.
Domenica sera poi, mentre eravamo a mangiare hamburger in un'altra bolgia da fine settimana inglese a Bricklane, Claudia mi ha detto che non aveva più la la forza per vivere questa storia a metà, di essersi sfinita nel cercare un equilibrio tra il vuoto di Loredana e la mia imprevedibile irrequietezza; di non riuscire più ad ignorare l'orizzonte chiuso verso cui viaggiava incosciente da quasi un anno. Mentre parlava piangeva, e le lacrime le scendevano senza pudori, forse perché era stanca di fingersi forte e presente, di simulare tranquillità ed ottimismo così come aveva imparato a fare negli ultimi mesi insieme mentre continuavo a ripeterle che volevo Londra e che dovevo ricostruirmi. C'ero sempre Io in quei discorsi. Io davanti e lei che aspettava nel cono della mia ombra qualcosa che cambiasse improvvisamente la trama, l'imprevisto che sconvolge la sceneggiatura: magari un lavoro decente, una nuova consapevolezza o la crescita di quel sentimento complesso e personale che per brevità siamo soliti chiamare amore. Invece non è successo niente. Abbiamo continuato a bruciare giornate indimenticabili e condividere piccoli drammi. Lei cercava di intrecciare le nostre vite ed io che la costringevo alla periferia del mio mondo. Ha avuto pietà sincera per le mi storia personale fatta di relazioni tragicomiche. Mi ha riaccolto senza troppe domande quando a febbraio sono tornato in Italia con la coda tra le gambe, piazzandomi in casa sua e rimbalzando tra mia madre e la toscana senza preavviso. Ha sopportato il peggiore mese della mia vita, sentendosi colpevole del mio malessere senza che io mi impegnassi nel convincerla del contrario. Ha resistito più di ogni immaginabile martire mentre io abusavo di ogni indulto, grazia, amnistia e condono che mi potessero venir concessi. Quando ha visto che stavo realmente iniziando a vivere qua, imparando nuove abitudini e trovando una qualche forma di equilibrio ha mollato la presa.
Non c'erano più colpi di scena da aspettarsi e mentre lei piangeva io restavo in silenzio senza provare a contraddirla. A cercare un motivo buono per resistere. Era inevitabile e lo sapevamo entrambi già da un po'. Dalla prima partenza a Gennaio che aveva cominciato un lento percorso di distacco interrotto bruscamente dal mio rimpatrio. Poi quando le avevo chiesto se potevo appoggiarmi da lei non aveva avuto la forza di negarsi un ultimo tentativo e tutto era ricominciato da capo. Ma io volevo Londra prima di tutto. Avevo bisogno di un obiettivo che mi traguardasse al di là dell'ultimo terribile anno. Cercavo un posto aperto dove fosse possibile ancora immaginarsi qualsiasi possibilità; perché dentro sono blindato. Non ho più spazio per nessuno e non so se tornerà ad essercene. Credo di aver impegnato tutta la cubatura a disposizione con gli scatoloni messi via dalle storie passate e forse non voglio rischiare di ritrovarmi con un altri ricordi in mano senza sapere dove metterli. Soffro la paura dell'eterno secondo e la stanchezza dello sconfitto.
Eppure la nostra storia non è stata solo questo. Sarebbe ingiusto per entrambi e soprattutto ne farebbe una povera sciocca senza carattere. Spero e credo di averle dato molto. Del resto chi mi conosce davvero e ha l'intelligenza per considerare le conseguenze delle parole che pronuncia, non avrebbe mai la presunzione di negarmi la conoscenza profonda e sofferta dell'amore senza provare vergogna. Di insultarmi con l'accusa di egocentrismo senza la consapevolezza di violentare un aspetto del mio carattere. Per questo nonostante tutto mi conforto ancora nell'amicizia di persone straordinarie per esperienza di vita, sensibilità e passione. Alcune delle quali avrebbe anche dei comprensibili motivi per scapparsene, loro sì, dall'altra parte del pianeta. Ma queste sono altre storie.
Con Claudia ad ogni modo non sono stato da meno. Non mi sono risparmiato. “totale” come solo riesco ancora ad essere quando sento la voglia di concedermi ad un'altra persona. O almeno credo sia andata così. L'ho aiutata a rendere viva una casa che non riusciva a sentire sua sistemandole i mille problemi che gliela rendeva insopportabile. Le ho risvegliato il piacere di una Livorno che stava iniziando a trascurare. Ho cucinato per lei mentre era al lavoro, accogliendola la sera con tutto l'entusiasmo che posso mettere nel far felici le persone a cui voglio bene. Abbiamo vissuti giorni interi in casa, senza mettere il naso fuori della porta, nutrendoci delle nostre confidenze e sorprendendoci continuamente per la nostra identica imprevedibilità. Siamo cresciuti entrambi un po' nell'amore, nella voglia di ascoltare, nel modo di far felici gli altri. Lei mi ha insegnato il significato della parola “infingardo”; m ha costretto a pensare di più prima di arringare a testa bassa e mi ha convinto a non giudicare troppo le vite degli altri. Con lei ho iniziato a capire che devo dare c ho di cui gli altri hanno bisogno e non quello che penso sia giusto ed anche se non imparerò mai il livornese non la smetto più di esclamare ogni volta con “bòia!”.
L'ultima volta che l'ho vista eravamo a Liverpool Street. Forse non capiterà più per molto tempo o anche per sempre. Ho capito che “l'ultima volta” la decide sempre la vita e per quanto noi ci sforziamo di apparire determinati e decisi contiamo davvero poco. Ho pianto senza vergogna mentre in bici me ne scappavo al lavoro ed ho continuato a piangere dopo aver letto il suo ultimo messaggio prima da salire in aereo.
Per i due giorni successivi ci siamo scritti via internet, fingendo fosse normale fingere che sia normale. Ora non la sento da giovedì chissà come e quando succederà di nuovo. Non credo tra molto. Poi però un giorno sparirà a tempo indeterminato e l'eventualità di un contatto sarà affidata solo al beneficio che si concede sempre al destino.
Adesso mi fa soffrire pensare a tutta questa storia. Alla tenda scuola ed al muretto di Paganica. Al terzo piano di via Guarducci; ai pranzi in Barrocciaia con le dita sporche d'olio ed ai pomeriggi passati alla Gaia Scienza aspettando che lei uscisse dal lavoro; a Bobo Rondelli ed a Gigi Balla, alla schiacciata con l'arrosto ed al “5 e 5”, a “bimbe” ed alle “bimbe” che per quasi un anno mi hanno accolto tra loro senza giudicarmi per il mio strano rapporto con la loro amica, abbracciandomi ogni volta come un fratello e provando a trattenermi in una città che non ho mai capito fino in fondo. Mi spiace non rivedere più Alessandro.
Le lacrime riprendono senza fermarsi e non controllo il pianto. Non so più perché si debba stare tanto male o perché almeno debba starci io. Perché un altro mondo per me non sia proprio possibile. Perché continuo a perdere le persone, a distruggere rapporti, a collezionare fallimenti. Trovo appagamento solo nella sofferenza della rinuncia violenta e dolorosa. Nel singhiozzo liberatorio. Non so più riconoscere la felicità se non attraverso la sua assenza improvvisa e definitiva. Mi porto tutto dietro e dentro e non riesco più a sopportarne il peso.
Possibile che anche questo sia amare?

a.

1 commento:

  1. ancora una volta ti ostini a non voler essere felice, quasi come se fosse una colpa esserlo... mi fa un pò rabbia leggere queste cose... tifo con tutto il cuore per claudia, pur non conoscendola, ma anche per te, pur non conoscendoti... non è possibile continuare a rendersi conto e perseverare con fughe e distruzione e lacrime... non è un giudizio, me ne guarderei bene... vorrei saper spronare... boh... claudia deve essere davvero fantastica! e tu che fai???

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