lunedì 12 marzo 2012

Il Gatto con gli stivali. Una storia vera (anzi due) - Day DCXCI


Giovedì scorso mi sono visto con Alberto, un ragazzo con cui ho lavorato da Biagio i primi tempi che ero qui a Londra. Gli avevo mandato un messaggio il giorno prima perché era un da po' che non ci sentivamo e anche perché sapevo che sarebbe dovuto passare in questo periodo per qualche giorno. Avevo voglia di vederlo e quello sarebbe stato il momento perfetto per una lunga chiacchierata e due birre, come quando ci capitava qualche volta in passato. Dopo 5 minuti mi aveva risposto scrivendomi che era appena sbarcato all'aeroporto di Stanstead e che ci saremmo potuti incontrare direttamente il l'indomani per una pinta a Soho.
Così il giorno successivo ci siamo trovati in un pub del centro con la voglia di aggiornarci avidamente su tutto quello che era successo nel frattempo. Mentre eravamo seduti a ridere delle solite stupidaggini e lagnarci delle imperfezioni della vita è entrato uno di quei tipi che i primi tempi che arrivi in Inghilterra hai la tentazione di seguire per capire cosa facciano nella vita. Se hanno un guardaroba, una casa e delle abitudini coerenti a quella immagine surreale che portano in giro con tanta disinvoltura. Oppure se sono solo il frutto della voglia di stupire, endemica in questa cultura in cui la rincorsa all'eccentrico è uno stile diffuso.
Dopo un po' impari a non restarne più sorpreso perché qua è difficile trovare un filo logico a ciò che ti capita intorno o almeno guardi con noncuranza per nascondere quello stupore da turista che dopo qualche mese di vita qui non puoi più permetterti. Sostanzialmente diventi uno snob che finge di non sorprendersi più di nulla e indica queste situazioni agli amici appena arrivati o a chi è in visita, per gustarne il disorientamento e sfoggiare di contro un'impassibile distrazione, salvo poi spiare di nascosto ogni dettaglio.

Comunque il personaggio di questa storia non era neanche particolarmente originale. dopo quasi due anni ne abbiamo visti di migliori. La giacca pesante a quadretti, il gilet di tela e bottoncini portato a pelle e i pantaloni a scacchi sapientemente troppo corti per mettere in mostra le scarpe nere bombate lo rendevano più adatto alla parte della volpe nel musical di pinocchio che a quella di “Man of the night”. Neanche la bombetta piena di piume e pietruzza calzata sulla pelata lucidissima bastava a dargli il giusto fascino.
Divertente sì, ma nulla a confronto, giusto per fare un esempio, alla vecchietta di OldCompton Street, stessa zona, incontrata mesi prima con Nancy. Lei aveva quella tipica sobrietà anglosassone. Un perfetto coordinato nero e bianco di Tailleur Chanel, camicia, guanti di pizzo e pochette. Era commovente come una nonna ed i suoi morbidi capelli bianchi la rendevano ancora più elegante. In realtà non l'avremmo notata se non avesse attraversato quella via affollatissimo e colorata con una enorme rivista patinata in mano, che mostrava ai passanti ridendo ogni volta come se la stessero sottoponendo alla tortura del solletico.
Fermava chiunque incontrasse, donne, uomini o coppie che fossero, mostrandogli le pagine interne del giornale ed esplodendo contemporaneamente in una rista piena e liberatoria. Eravamo troppo incuriositi da quella scena così dopo averne studiato un po' la traiettoria ondivaga ci siamo decisi a cambiare marciapiede per intercettarla.
Arrivati a tiro a la scena si è ripetuta con lo stesso copione: ci a puntati diretta, si è avvicinata aprendo una delle pagine centrali di quel grosso volume e fissandoci negli occhi per cercare la nostra attenzione lo ha girato per metterci a favore di lettura. Mentre lei nuovamente impazziva di gioia isterica io e Nancy che eravamo pronti a sfoderare un sorriso di comprensione, ci siamo invece congelati (ovviamente per motivi diversi) con lo sguardo su quelle foto che ritraevano nudi integrali di bellissimi, superdotati e soprattutto eccitati, modelli di quella che era una rivista porno per gay! Vivevamo a Londra entrambi da più di un anno ormai ma quello era "sorprendente" anche per noi. Così mentre noi riordinavamo lei idee, l'arzilla signora ci salutava proseguendo oltre con qualche borbottio e tagliando l'aria in alto con la mano, come a rimproverare se stessa del tempo perso in gioventù dietro la rigorosa etichetta britannica ed allo stesso tempo ammonirci dal non vivere con la stessa inutile prudenza  finché erravamo ancora nell'età giusta per godere di tanta grazia.

Dopo incontri di questo spessore quindi, era stato abbastanza facile per noi quella sera, lanciare uno sguardo distratto al tipo, per tornare subito alle nostre confidenze. Il resto del locale invece non lo aveva neanche registrato. Evidentemente lui non aveva gradito la stroncatura della sua interpretazione ed era corso ai ripari chiamando quella che forse era la volpe nello spettacolo che avevano in programma. Questo non solo era entrato in scena indossando un assortimento così improbabile di indumenti da potero imputare soltanto ad un lavaggio sbagliato, ma si muoveva tra i tavoli con la sua birra gocciolante in una mano ed una massiccia sega circolare nell'altra.
Era proprio una sega da falegname, forse serviva all'attore che interpretava Geppetto, di quelle da banco, con la base pesante ed il braccetto per alzare la lama, ed appoggiandola con decisione sul tavolo del suo amico come se avesse sistemato l'attrezzo, ci aveva lanciato un'evidente occhiata di sfida.
Alberto non era riuscito a trattenere un commento, comunque pieno di dignità: ”beh siamo a Londra... che fai non ti porti una sega al pub?!”. Intanto il resto degli avventori continuava a collezionare annoiato fondi di schiuma esausta.
Lo show aveva sortito l'effetto desiderato e i due sembravano godersi lo stupore suscitato nei due italiani sprovveduti. Anche noi ne avevamo abbastanza di quello spettacolo era il momento della sigaretta finale prima del commiato. Un ultimo sguardo agli attori ed eravamo fuori per le ultime battute. Alberto continuava la serata con gli altri amici arrivati con lui dall'Italia, mentre io me ne andavo a casa senza altre tappe intermedie. Era stata una serata all'altezza delle aspettative. Abbiamo sempre un sacco da raccontarci quando ci incontriamo e ci viene naturale affidarci l'un l'altro per avere uno sguardo diverso sulle nostre scelte. Il saluto così ogni volta è sempre malinconico anche se abbiamo la certezza che non mancheranno altre occasioni. L'abbraccio è stato forte e sincero. Un po' più lungo di quelli che ti dai qua con gli amici che rivedrai la settimana successiva. Giusto il tempo vedere il gatto che si allontanava dal pub lentamente, infilandosi una mano dietro, sotto la giacca, per tirarne fuori una soffice, vaporosa e lunghissima coda.

Ve lo giuro. È tutto vero.
Chiedete ad Alberto.

a.

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