domenica 23 maggio 2010

Back to the future - Day IVXXX


Il Prequel
Venerdì ho chiuso la quarta settimana del secondo ciclo londinese. Rispetto a Gennaio lo srotolarsi di questo mese è stato sostanzialmente diverso dal precedente. L'ironia, nel significato beffardo della sorpresa imprevedibile, si è impegnata a disegnare un percorso contorto e faticoso che gli ottimisti potrebbero interpretare come presagio di un finale straordinario ma che a me per il momento taglia solo il fiato.
A dicembre dell'anno scorso ero carico di certezze e dubbi, equamente distribuiti, in modo da garantirmi tutta l'irrequietezza che la comica inquietudine del mio personaggio richiede. Il lavoro non impegnava alcuna preoccupazione: “A Londra non lavorano soltanto i fannulloni!”, era il primo verso con cui attaccavo ogni volta la filastrocca sulla mia partenza. Dopo di che il malcapitato di turno doveva sopportare i discorsi intensi e maturi sulla paura per una socialità complicata, il timore della solitudine, l'ansia per una lingua masticata a stento. Di solito sono abbastanza bravo ad argomentare teorie se ho il tempo per elaborarmele con calma. Nel confronto serrato dell'improvvisazione inciampo, ma se mi si lascia lo spazio di ragionare spesso risulto convincente. Quindi c'era poco da obiettare: Esponevo le mie teorie con supporto di dati economici, della mia esperienza londinese e di una buona dose di immaginazione. Arrivato qua con la mia valigia pesata al grammo, ovviamente è successo l'esatto contrario. 

Nel giro di una settimana condividevo la doppia on un ragazzo così conciliante che non me lo sarei potuto immaginarmene migliore [ed infatti senza conoscerlo mi ero impegnato in tutti modi prima di conoscerlo per trovare un'alternativa...], avevo conosciuto una dozzina di persone e uscivo tutte le sere. Una meraviglia; potevo dedicare tutte le mie energie alla ricerca del lavoro. Perché quello comunque sarebbe arrivato. Non era mica un problema trovare qualcosa nella città che si sta preparando ad ospitare le olimpiadi del 2012, la City del continente, la capitale delle capitali. C'era una frase che usavo spesso e che anche ora se mi distraggo ritrovo in mezzo ai miei soliloqui, che suonava più o meno così: “Se c'è un soldo che gira in Europa nei prossimi 24 mesi, si ferma sicuramente qua!”. 
Un ragionamento incontestabile. Io poi a Londra ci sono stato un sacco di volte, ci ho anche lavorato, ho dieci anni come pizzaiolo, altri dieci come grafico. Sono lavori che hanno bisogno di mani e fantasia. Non vocabolario e fluency. Neanche a dirlo, per gli imperscrutabili meccanismi di cui sopra, dopo un mese avevo invaso la città con i miei curriculum, sostenuto una decina di colloqui ed anche provato in 4 pizzerie. I risultati sono noti a la maggior parte di chi legge. Il mio inglese era leggermente sotto il livello necessario per il front-office; le mie capacità da pizzaiolo peccavano nell'uso del mattarello e per il grafico avrei dovuto aspettare una maggiore padronanza della lingua creativa. La speranza si era diventata disperazione. I soldi stavano finendo e tutti continuavano a dirmi: “It's quite now... maybe in two mounhts...”. Avevo perso la serenità, vagavo stordito per le strade entrando di tanto in tanto nei ristoranti italiani con un cv in mano e la disperazione negli occhi. La supplica per accettare almeno i miei dati riceveva un po' ovunque la commovente solidarietà dei camerieri, che riconoscevano nella stanchezza dei miei vestiti umidi di nebbia le tribolazioni del loro arrivo oltremanica. Il massimo della speranza che potevano offrimi non andava oltre la promessa passarli al manager, ma non poteva bastarmi. 
Era deciso: Giovedì 18 Febbraio avrei affrontato la mia ultima intervista. Avevo inserito il curriculum sul sito di Pizza Hut ed ero stato richiamato. Se avessi fallito anche lì me ne sarei tornato in Italia per un paio di mesi in attesa che il letargo invernale finisse. Avrei studiato inglese e magari seguito un corso da pizzaiolo in modo da tornare in Aprile pronto e ricaricato. Prima di abbandonare però avevo un'ultima chance. Preparare la pizza in un fast food era alla mia portata ed in più il ristorante si trova a due fermate di Tube da dovevo vivevo [e vivo tutt'ora], Ero un candidato ideale. I londinesi preferiscono sempre chi abita vicino alla sede di lavoro. é una città enorme che può richiedere molto tempo per gli spostamenti. Per quel che mi riguarda potevo essere a casa in 5 minuti. Sarebbe stato un posto eccezionale: Dovevo dare il meglio e per una volta non delusi. 
Il manager rilesse davanti a me l'Application che avevo compilato online chiedendomi alcune spiegazioni e poi domandandomi esempi di comportamento in situazioni tipo. Non sbagliavo un colpo e lui era entusiasta. Non faceva che ripetere: “Very well! Very well!”. E non smise di complimentarsi con me neanche mentre mi salutava rimandandomi ad una telefonata nei giorni successivi. Tornando a casa ero nauseante di felicità. Allungai fino a Camden Town dove mi persi per le strade del mercato sorridendo a tutte le ragazze orientali che cercavano di sedurmi brandendo spiedini lucidi di pastella giallo ocra e limone. Mi regalai un libro in inglese da un Charity Shop e tornai al flat in attesa della telefonata. Il Venerdì, nonostante continuassi a fissarlo, il cellulare non rimase impressionato e se ne resto calmo e silenzioso. Il Sabato la scena si ripropose più o meno con lo stesso copione ma minore intensità visto che speravo che nel fine settimana trascurassero il recruitment. 
La domenica concessi al mio telefono il suo giorno libero e decisi di recarmi di persona al ristorante per capirci qualcosa in più. 
Il manager che mi aveva intervistato era off per cui mi consigliarono di ripassare l'indomani. Lunedì mattina mi piazzai davanti alla porta del locale ed appena una ragazza decise che era tempo di aprire infilai l'ingresso per affrontare il mio destino. Aspettai mezz'ora che finisse il briefing di inizio settimana. Sono minuti interminabili in cui immagini la tua vita del dopo teorizzando scenari che vanno dall'indigenza totale ad un viaggio per due in Nord America. Finita la riunione vidi il futuro venirmi incontro indossando la stessa camicia e lo stesso sorriso di quattro giorni prima. Aveva però sostituito il “Very well” con un discorso complicatissimo per me, di cui colsi solo qualche congiunzione ma tutte le pause. Nella mia testa bastavano per formare un concetto chiarissimo: in quel momento stavano esaminando diversi candidati e quindi c'era da aspettare un po'. Nel caso mi avrebbero richiamato nei prossimi giorni. Era troppo! tornai a casa e comperai un biglietto di sola andata per Pisa. L'ostello era pagato fino a giovedì, ma partendo il giorno prima risparmiavo 20 euro e il mangiare per un giorno. Tanto mi rimaneva la forza soltanto per salutare gli amici che rimanevano e dargli appuntamento certo per la primavera.
Mercoledì mattina azzeccai una serie di passaggi perfetti e con tre tocchi ero al check-in due ore prima. Spensi il cellulare deciso a riaccenderlo in patria e solo dopo aver sostituitola scheda; volevo chiudere per un po' il discorso England. Tirai fuori il carta d'imbarco e mi misi subito in fila. Odio le partenze infinite ed i saluti estenuanti. Ormai ero con la testa in Italia. Era la scelta migliore. Avevo impiegato una settimana a metabolizzare la decisione, ad accettare la sconfitta, il mezzo fallimento. Ne avevo parlato con tutti con le mie solide impugnabili argomentazioni e nessuno aveva avuto la forza do obiettare alcunché. Del resto Londra è piena di persona che vanno e vengono. 

Ci avevo provato sul serio, avevo la coscienza pulita. Potevo rimproverarmi soltanto la prima settimana vissuta un po' troppo rilassato. Ma era una lezione anche quella. Ad Aprile sarei atterrato con un pacco di CV e molta più determinazione. A casa senza troppe pressioni avrei studiato e imparato il lavoro del piazzaiolo. Come canovaccio poteva funzionare. Nel frattempo avevo superato il controllo bagagli e vagavo nella zona dei Duty Free senza trovare un orologio. Controvoglia mi rassegnai a riaccendere il telefono per tenere sotto controllo il l'ora. Neanche il tempo di accendersi ed un doppio beeb trillo per l'arrivo di altrettanti messaggi in segreteria. 
Non volevo ascoltarli. È un servizio a pagamento e di solito paghi il silenzio di chi si ritrova suo malgrado in una registrazione senza la voglia di dire niente. Però stavo ritornando nel mio paese e quel credito chissà se e quando lo avrei sfruttato. Potevo permettermi il lusso di quella curiosità. Il primo manco a dirlo era vuoto. Ennesimi soldi buttati di un soggiorno emorragico. Ero pronto a riattaccare subito dopo il secondo silenzio per non sprecare la poca batteria rimasta, quando riconobbi la voce del Manager di Pizza Hut che dopo essersi presentato mi invitava da lì due ore per una prova da pizzaiolo. Stavolta avevo capito tutto. Ne ero sicuro. Perché avevano aspettato il punto di non ritorno? Poco prima del decollo senza possibilità di cambiare il biglietto. Sarebbe bastata una telefonata 12 ore prima e avrei allungato di un giorno senza problemi. Dopo tre notti di autoterapia per convincermi che non stavo vivendo un altro fallimento. Con Claudia che mi aspettava a Pisa. L'ostello disdetto. Le valige cariche, i pounds finiti. Avevo bisogno di un consulto. Mi serviva Chiara. La telefonata con la mia lovemate come al solito rassicurò alcune me paranoie: non esiste un ordine mondiale che trama contro di me. Purtroppo verso la fine interpretai male una sua frase ottimista che parlava di segni e dopo averla salutata cominciai a sudare pensando ad un destino che voleva mettermi in guardia da un volo sciagurato. Era un presagio? Sarebbe caduto? Quante gocce di Lexotan occorrono per raggiungere l'incoscienza velocemente e comunque prima dello schianto di un aereo in picchiata? Avevo bisogno di un'altra telefonata, Claudia. Anche lei cercò di tranquillizzarmi lasciandomi libertà di scelta senza appesantire nessuna eventuale decisione. Mi accomiatai struggente. Ora mi sentivo in colpa anche con lei. In caso di incidente si sarebbe incolpata per non avermi fermato? Dovevo prendere una decisione. Sarei partito, ma se qualche altro segno avrebbe preceduto l'imbarco non sarei salito a bordo. Anche a costo di fermare l'aereo urlando come un pazzo. Ormai mancavano 20 minuti. C'era un telefono nella zona d'attesa e mi era rimasta qualche moneta. Volevo usarle per richiamare Claudia e dirle che il ritorno era un mia decisione; che avevo bisogno di tempo per riordinare le idee e rilassarmi un po'. Mi sembrava il modo migliore per scaricarla dalle responsabilità e sentirmi anche io più in pace. La solita dose del mio ansiolitico stava lavorando a dovere. Da lì a dieci minuti sarei stato in volo e di segni non ne avevo avuti. Avevo tutto il tempo per la telefonata. Presi la cornetta, infilai la prima moneta e il display si illuminò con un messaggio di errore “Out of work”. Il telefono era guasto. Non potevo avvertire nessuno. Non potevo alleggerirmi la coscienza. Non potevo volare tranquillo. Era il segnale che stavo aspettando. Sapevo cosa fare, me lo ero ripromesso. Corsi al bagno e presi altre 10 gocce di Lexotan.

a.


1 commento:

  1. ma lo sai che parlo di segni solo per vizio semiotico...sempre a darmi retta tu...;)

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